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Progettazione e consulenze IT: professionalità  in discussione…

di Ferdinando Cermelli

Pubblicato 13 Giugno 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:37

Ci sono cose che non capisco, che sfuggono alla mia logica: non che le mie capacità  di ragionamento siano particolarmente eccelse, tuttavia ritengo che il comune buonsenso, di cui tutti siamo dotati, sia parte del sottoscritto.

Per esempio, quando vado al ristorante tendo a fidarmi del giudizio professionale espresso dal cameriere nello scegliere il vino adatto al pasto e, analogamente, quando vado dal medico non metto in dubbio la sua competenza nel prescrivermi esami o cure.
Ma allora perché, quando sottopongo un progetto informatico e suggerisco la più efficace soluzione da adottare dall'altra parte c'è immancabilmente chi si sente in dovere di proporre un altro linguaggio, una diversa architettura, una soluzione alternativa?

Attenzione, non è una cosa accaduta solo a me, è piuttosto uno scenario decisamente diffuso.
Perché non si accetta che, dall'altra parte, ci sia un professionista che si è costruito un bagaglio di competenze in anni di studio e lavoro? Perché in ambito informatico c'è questa sorta di diffidenza congenita che fa sì che anche chi si dichiara esplicitamente ignorante in materia abbia la tendenza innata a confutare tesi e proposte?
E non sto parlando di budget ma solo di contenuti, di aspetti strettamente tecnici!

Questo comportamento, oltre a indisporre chi si sente messo in discussione, conduce inevitabilmente a doversi immergere in inutili e complesse spiegazioni tecniche per motivare (quasi fosse una giustificazione) la propria proposta.

Alcune settimane or sono, una società  mi ha consultato per la realizzazione di un progetto di “gestione ordini“. Il progetto non necessitava di competenze particolarmente spinte e nemmeno richiedeva un investimento particolarmente oneroso, né in risorse economiche né di tempo.
Eppure, alla fine della “tenzone” la soluzione da me proposta non è stata adottata: il manager ha preferito adottare un linguaggio di scripting.
Assolutamente inutile tentare di spiegare i motivi che mi vedevano contrario (difficoltà  nel testing, difficoltà  di evoluzione dei servizi, scarsa manutenibilità ), e altrettanto inutile aspettarsi motivazioni sul perché della scelta: “abbiamo già  altre applicazioni realizzate nello stesso modo”.

Ho poi verificato che le “altre applicazioni” erano molto più piccole (rubriche, fatture, etc.) e isolate, mentre quella in oggetto andava distribuita per integrarla con un sistema di più ampio respiro e l'architettura adottata richiedeva una maggiore solidità  in fase di sviluppo, proprio a partire dagli strumenti da impiegare.
Ma tanto la scelta era già  stata presa, e quindi così è stato fatto!

Mi viene spontaneo chiedermi se si tratta di un atteggiamento diffuso a livello mondiale o europeo oppure se si tratta di una delle tante sindromi tutte nostrane:

“Italiani, un popolo di santi, navigatori, allenatori ed (ora) informatici”.