Fondi Ue: quando vengono utilizzati?

di Filippo Davide Martucci

Pubblicato 13 Dicembre 2011
Aggiornato 14 Gennaio 2014 10:38

La mancata razionalizzazione dei progetti contribuisce ai ritardi di erogazione fondi europei: Italia a rischio restituzione.

I fondi europei sono fondamentali per le Pmi italiane, perchè contribuiscono a colmare dei deficit favorendo lo sviluppo di aree svantaggiate e incoraggiando il reinserimento nel mondo del lavoro. Inoltre, dai progetti finanziati derivano molte commesse per le nostre piccole e medie imprese.

Ma quanto dei fondi europei riservati all’Italia viene speso, e quanto torna indietro inutilizzato? Secondo l’attività di monitoraggio esercitata dalla Ragioneria generale dello Stato (l’ultimo resoconto si riferisce al 2010) nelle regioni a Obiettivo Convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) i pagamenti sono fermi al 9,6%, mentre in quelle a Obiettivo Competitività la quota sale al 18,8%.

Per avere un quadro completo facciamo riferimento alla recente analisi IFEL, la fondazione sulla finanza locale dell’ANCI, secondo cui alcuni dei problemi legati allo sfruttamento delle risorse comunitarie stanno nella frammentazione degli interventi, nella confusione tra gestione e programmazione, e nel dirottamento dei fondi comunitari su programmi poco strategici, tesi magari alla realizzazione di progetti che poco hanno a che fare con un razionale utilizzo dei fondi.

Per dimostrare queste tesi, l’IFEL spiega che i Comuni sono destinatari di quasi un quarto dei fondi FESR (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) 2007-2013, pari a 30,6 miliardi di euro, ma per finanziare piccoli progetti difficili da monitorare.

I Comuni devono realizzare ben 2.410 progetti distribuiti per 1.293 enti, e cioè un progetto ogni sei Comuni che, nelle regioni del Sud, sale al 43% e in Calabria raggiunge la quota massima dell ‘ 89%.

In una situazione tanto atomizzata, seguire la realizzazione di ogni singolo progetto, monitorarne i progressi e quindi elargire le tranches del finanziamento è molto difficoltoso. Il risultato è che il 40% dei progetti non è neppure all’inizio.

Non solo: il 43,5% dei progetti non supera il valore dei 150mila euro, configurando quasi la metà degli interventi come piccole operazioni che difficilmente potranno avere l’effetto di creare valore aggiunto per la realtà nella quale verranno realizzati, e che raramente riusciranno a colmare il gap di infrastrutture e di servizi pubblici che separa fortemente i territori più ricchi da quelli più svantaggiati.

Eppure gli ambiti di intervento vanno proprio in queste direzioni, infatti il grosso delle risorse (36,2%) dovrebbe favorire la riqualificazione di aree urbane, industriali e commerciali; il 33,3% essere investito per favorire la mobilità; l’11,9% per la salvaguardia del territorio; l’11,4% per la tutela del patrimonio artistico e culturale e il 7,2% dovrebbe essere utilizzata per inclusione sociale ed efficienza energetica.

«Se una regione come la Calabria mette in campo centinaia di micro-interventi con 264 Comuni diversi, l’incaglio lo si mette nel conto. Bisogna a tornare a progetti europei come Urban, che hanno concentrato le risorse su grandi città o aree omogenee e hanno avuto successo. Con Urban, aree e comuni strategici erano stati individuati come responsabili della gestione, e l’organicità dei progetti aveva evitato la dispersione» ha commentato il segretario dell’Anci Angelo Righetti.

Tutto questo, mentre il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ammonisce sulla lentezza della realizzazione dei progetti, che può anche costare molto caro. Se prima la restituzione automatica dei fondi avveniva al termine del ciclo di programmazione, ora l’Unione Europea ha imposto che i fondi inutilizzati per due anni vengano restituiti, così il ministero di Fitto ha cominciato a monitorare, attraverso un apposito comitato di sorveglianza, i fondi che stanno per scadere: l’obiettivo è evitare che non vengano spesi, e per questo è necessario che entro maggio tutte le risorse programmate nei due anni passati siano già impegnate, e che entro ottobre sia stato speso il 70% del target totale.

Ebbene, il FESR ammonta a 6 miliardi di euro ma nel periodo compreso tra il 2007 e il 2010 meno della metà delle risorse è stato impiegato. La posta in ballo è quindi alta: se la gestione delle risorse comunitarie non diventa più efficiente, per il prossimo periodo di programmazione (2013-2020) i fondi europei che in questo ciclo ammontano a 44,1 miliardi potrebbero diventare solo un ricordo.