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Quote rosa nei CdA dal 2015: sì dal Governo, che fa dietrofront

di Noemi Ricci

Pubblicato 9 Marzo 2011
Aggiornato 16 Dicembre 2011 12:05

Il Governo ritira il parere negativo sulle quote di genere (30% donne entro il 2015) nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa: atteso ora il voto al Senato.

Il Governo fa dietrofront e ritira il parere negativo in Commissione Finanza al Senato che rischiava di affossare l’emendamento che prevede entro il 2015 quota 30% di donne nei CdA delle aziende quotate in Borsa o a partecipazione pubblica. Un obbligo richiesto anche dalla.

Torna in ballo il provvedimento ma accogliendo la richiesta Confindustria di far slittare l’obbligo al 2018.

La legge entrerà in vigore dopo un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: tra il 2012 e il 2015 scatta l’obbligo del 20% di donne nei consigli di amministrazione; tra il 2015 e il 2018 si arriverà ad una quota del 33,3% con approssimazione lasciata alla volontà delle aziende (si dovrà definirlo nei singoli statuti). La validità delle quote copre Le quote rosa tre mandati dei CdA e dei collegi sindacali.

Per domani mattina è previsto il voto per il mandato al relatore da parte della commissione Finanze del Senato. È invece atteso per martedì prossimo il voto del Senato , per quanto la strada rimanga tortuosa: in caso di approvazione il testo dovrà comunque tornare a Montecitorio.

Le modifiche apportate: il Governo impone tolleranza per chi non rispetta l’obbligo. Non si ricorrerà più alla sanzione immediata ma ad una diffida, seguita da multa e in ultimo dalla decadenza del CdA.

Soddisfatta la Senatrice di Futuro e Libertà, Maria Ida Germontani, la quale aveva proposto due rinnovi per l’emendamento: il primo per il periodo 2012-2015 con quote rosa nei CdA al 20%, per poi passare al secondo salendo al 30%. «Mi sembra un buon risultato. L’approdo in aula è importante perché si dà un risalto ad un provvedimento del genere» ha dichiarato la senatrice, aggiungendo che questa è «un’occasione per affermare la dignità del Parlamento».

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