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Premi produttività come welfare aziendale

di Anna Fabi

Pubblicato 19 Luglio 2017
Aggiornato 27 Settembre 2018 10:00

Welfare aziendale: 4 aziende su 10 utilizzano il premio di risultato per finanziarlo e cresce la sensibilità verso il wellbeing aziendale.

Il welfare aziendale trova sempre più spazio in Italia, complici anche gli incentivi governativi, da ultima la defiscalizzazione inserita nella Legge di Stabilità 2017, tanto che 4 imprese su 10 (quasi il 43%) per finanziare i propri piani in azienda utilizzano sempre più spesso i premi di risultato, oltre a investimenti ad hoc.

Si tratta della possibilità inserita nella Legge di Stabilità 2017 di convertire tutta o una parte del premio di produttività in servizi welfare, opzione scelta nell’80% dei casi, seguita dai contributi alle forme pensionistiche complementari o all’assistenza sanitaria versati in sostituzione del premio. Le aziende ricorrono inoltre nel 60% dei casi all’analisi di fattibilità, scegliendo i servizi offerti anche attraverso survey interne e focus group.

Un’attenzione al benessere dei lavoratori che porta, secondo il Quarto Rapporto Welfare e Primo Rapporto Wellbeing di OD&M Consulting (Gi Group), la soddisfazione dei lavoratori all’84% (+20 punti rispetto all’indagine 2016). Il rapporto è stato realizzato mediante due survey condotte una su un panel di 150 aziende italiane e l’altra su un campione di 500 lavoratori, così da analizzare i due diversi punti di vista sul welfare aziendale e capire quale sia l’impatto sull’engagement e sulla motivazione delle persone.

Dal punto di vista delle aziende le politiche di welfare rappresentano:

  • una delle leve più importanti della gestione del personale, soprattutto in ottica di miglioramento del benessere dei lavoratori (77%), in particolar modo nelle medie (82,9%) e piccole imprese (90%);
  • un’evoluzione dei pacchetti di benefit aziendale (60%);
  • una nuova leva di Total Reward (32,9%) con un’incidenza maggiore nelle grandi realtà (40%) rispetto alle piccole (10%).

=> Guida Welfare Aziendale: il quadro normativo

Nonostante l’unico aspetto del benessere cui la maggior parte delle aziende ha dichiarato di prestare attenzione è l’ambiente di lavoro (76,2%), la sensibilità ai vari aspetti che determinano il wellbeing aziendale cresce fra le imprese che forniscono servizi di welfare con un’attenzione oltre che all’ambiente di lavoro (90%), anche alla prevenzione medica (63%) e al benessere relazionale (61%).

Simonetta Cavasin,  Amministratore Delegato di OD&M Consulting, spiega:

“Il welfare aziendale contribuisce a tutti gli effetti a integrare le leve di Total Reward per la gestione del rapporto azienda/lavoratore, rappresenta una forma alternativa all’erogazione dei premi di produttività e impatta positivamente sul Wellbeing delle persone, andando a migliorare il livello di engagement e il clima dell’azienda. Si viene a creare così un circolo virtuoso che, se ben gestito, avvalora ulteriormente l’approccio integrato che l’azienda dovrebbe adottare nell’utilizzare tutte le leve che ha a disposizione per gestire al meglio il proprio organico”.

Da sottolineare che fra le imprese che hanno già un piano di welfare (47,6%) prevalgono le grandi e medie aziende (67,6%), mentre nell’ambito del 43,5% di imprese che ha intenzione di svilupparne uno nei prossimi due anni emergono le piccole – quasi il 60%, in crescita di oltre 20 punti.

=> Welfare: il decalogo del benessere sul lavoro 

Dal punto di vista dei lavoratori i servizi più apprezzati sono:

  • quelli di assistenza sanitaria, 75,9% con un gradimento che tende ad aumentare al crescere dell’età, raggiungendo l’86,5% per chi ha 45-54 anni;
  • la concessione di ferie e permessi con il 74,7% e un apprezzamento particolare da parte di chi ha 45-54 anni (83,8%);
  • i servizi di gestione del tempo (graditi al 72,8% e con il picco di soddisfazione massima per chi ha 35-45 anni con l’81%);
  • i servizi di previdenza (al 71,5% e fino al 78,6% per chi ha 55-64 anni), tra i più graditi ci sono la maternità (integrazione al trattamento, buono nascita, formazione per reinserimento) con il 70,9% (81,5% da parte delle donne con figli) e la mobilità con il 70,3% (al 90,9% tra i più giovani).

Per Simonetta Cavasin:

“Il cambio di percezione dei lavoratori rispetto alle finalità di implementazione dei piani – si è ridotta di oltre 20 punti la percentuale di chi pensava che fosse una modalità di contenimento dei costi – correlato alla crescita della soddisfazione dei medesimi, conferma la validità di una comunicazione chiara e trasparente e l’importanza dell’ascolto e del coinvolgimento dei lavoratori nelle diverse fasi di progettazione. Al tempo stesso, emerge che il welfare aziendale sta raggiungendo una certa maturità e se ne profila all’orizzonte un prossimo traguardo: l’aumento del livello di energia e di motivazione all’interno dell’organizzazione grazie ai servizi orientati al benessere delle persone. Per questo, a 4 anni dal primo studio, abbiamo voluto indagare il nuovo ambito del wellbeing; la maggiore soddisfazione si riscontra proprio tra i dipendenti che riconoscono come principale finalità nell’implementazione dei piani di welfare l’aumento del livello di benessere delle persone e di quello organizzativo.”