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Lavoro flessibile, l’Italia non brilla

di Barbara Weisz

9 Giugno 2016 09:46

Imprese italiane indietro sul lavoro flessibile nel confronto europeo, tra i punti deboli: servizi digitali, mobilità interna, orari flessibili.

Le imprese italiane puntano poco su percorsi di digitalizzazione che impattino sulla flessibilità del lavoro, in termini di orari, spazi e collaborazione, fidelizzando solo in parte i dipendenti, che solo nel 59% dei casi si definiscono orgogliosi del proprio posto e disponibili a raccomandarlo. Una percentuale ben sotto la media europea (71%), che ci colloca in decima posizione su 16 paesi considerati. Sono i risultati dell’indagine “Future People: Le postazioni di lavoro nell’era della trasformazione digitale“, realizzata da Cornerstone OnDemand e IDC (in Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Finlandia, Svezia, Islanda, Norvegia, Danimarca, Polonia, Austria, Svizzera).

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In Italia funge da ostacolo una mercato rigido, tradizionale e altamente regolamentato, in cui le aziende attribuiscono una valutazione bassa al lavoro flessibile, fattore invece fondamentale per il benessere dei dipendenti. 

Flessibilità in Italia

  • attività ricreative sul posto di lavoro: 67%
  • sistemi IT accessibili attraverso nuovi dispositivi: 69%
  • postazioni di lavoro flessibili: 58%
  • open space: 66%
  • mobilità interna: 86%
  • orari flessibili:76%

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Scarso risulta anche il peso della collaborazione nelle policy: dipendenti incentivati a condividere la conoscenza 51%; incoraggiati ad assumersi nuove responsabilità, 53%; a cui sono affidate importanti decisioni in autonomia, 43%; coinvolti nei processi decisionali 51%.

Conclusioni: le organizzazioni italiane devono crescere sul fronte smart working, favorendo il benessere del dipendente attraverso mobilità interna e orari flessibili, investire nel miglioramento della collaborazione, modernizzare il ruolo delle risorse umane.