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Riforma del lavoro, licenziamenti PMI: scontro su articolo 18

di Barbara Weisz

Pubblicato 22 Marzo 2012
Aggiornato 23 Marzo 2012 18:21

Si riapre il dibattito sulla riforma del lavoro e sull'articolo 18: analisi punto per punto della nuova formulazione, che riguarda anche i licenziamenti dei lavoratori di PMI con meno di 15 dipendenti.

La revisione dell’articolo 18 contemplata nella riforma del lavoro Monti – Fornero e blindata dal Governo forse non sarà intoccabile: la pioggia di critiche ha riaperto i giochi sui licenziamenti (flessibilità in uscita), anche quelli per le PMI con meno di 15 dipendenti, e ha portato il premier a impegnarsi affinché la riforma non consenta abusi sui lavoratori.

La norma sul reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa  è ancora al centro del dibattito, dopo l’ennesimo round al tavolo negoziale fra governo e parti sociali.
A riaprire il dibattito non è la stavolta Cgil (da sempre contraria alla riformulazione dell’articolo 18) ma la Cisl che, come dichiarato dal segretario Raffaele Bonanni, «vuole cambiare la norma sui licenziamenti economici».

Cause di licenziamento: reintegro o indennizzo

Il nodo principale è l’opzione reintegro o indennizzo a seguito di licenziamento, a seconda della motivazione della cessazione del rapporto di lavoro.

  • Per i licenziamenti per motivi economici la bozza del Governo prevede un indennizzo fra le 15 e le 27 mensilità (e non più il reintegro).
  • In caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (motivi disciplinari), si prevede una discrezionalità del giudice, che può decidere fra l’indennizzo che va dalle 15 alle 27 mensilità o il reintegro: il giudice deve in ogni caso decidere per il reintegro se la motivazione disciplinare addotta dall’azienda è nulla “per non commissione del fatto contestato” o se rientra in una casistica prevista dal contratto nazionale di riferimento, che può prevedere una diversa sanzione.
  • Per i licenziamenti discriminatori resta il reintegro, anche per aziende sotto i 15 dipendenti (come già previsto dalla legge numero 108 del 1990, articolo 3: il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie «è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro», anche per i dirigenti.

Motivi discriminatori: reintegro o risarcimento?

Da diverse parti (fra cui anche un ministro del governo Monti, il titolare della Coesione Territoriale Fabrizio Barca) viene fatto comunque notare che la formulazione del nuovo articolo 18 non è per nulla chiara.

In particolare lascia aperto una dubbio: se un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, ovvero per motivi economici, ritiene di essere invece stato licenziato per motivi discriminatori cosa succede?

La risposta sembra ovvia: si torna al reintegro. Ma non lo è, perché la nuova legge prevede che se il giudice non rileva la sussistenza del motivo economico, dispone il risarcimento (non il reintegro).

La questione in effetti è molto tecnica, e probabilmente tutto dipenderebbe dal modo in cui il lavoratore formula l’eventuale ricorso: se ritiene di essere stato licenziato per motivi discriminatori deve esplicitarlo nel ricorso e in questo caso, se ha ragione, avrà diritto al reintegro.