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Start-up digitali: il segreto è farsi comprare

di Alessia Valentini

Pubblicato 2 Novembre 2011
Aggiornato 26 Novembre 2011 18:41

La nuova filosofia per le start-up digitali? Se non puoi combatterli: fatti comprare!. Le strategie possibili per un imprenditore che vuole avviare un'azienda.

Dopo anni di aziende PMI terrorizzate dalla concorrenza che avrebbe potuto fagocitarle, oggi la strategia in completa controtendenza sta nell’avviare una start-up digitale al solo scopo di diventare talmente remunerativi e concorrenziali da spingere uno dei big competitor, magari d’Oltreoceano, all’acquisto. Che può avvenire da parte dei cosiddetti “incubatori” d’impresa che stanno iniziando ad operare anche in Italia oppure direttamente da parte di un’azienda interessata a espandersi su altri mercati e per esempio ad avere una sede o un ufficio delocalizzato in Italia.

Start-up digitali

Sono tanti i motivi che possono spingere il singolo o un gruppo di persone a diventare imprenditori: insoddisfazione sul posto di lavoro, disoccupazione, magari dovuta a questo periodo di crisi economica, esigenze personali inconciliabili con la realtà professionale. Alcuni diventano imprenditori sul web sfruttandolo come nuovo canale per proporre un business solitamente accessibile in modo più tradizionale: vendita di prodotti tipici, abbigliamento o servizi.

Altri aggiungono internet come canale ulteriore rispetto agli altri preesistenti della propria attività e poi ci sono coloro che avviano vere e proprie imprese solo nel mondo Internet, le cosiddette start up digitali.

Uno dei motivi trainanti è proprio la considerazione di internet come di una concreta opportunità per il futuro. In base a questa convinzione, semplicemente si desidera farne parte, tuttavia non si deve commettere l’ingenuità di pensare che su internet l’avvio di una impresa sia più facile. Il successo grazie alla viralità del web potrebbe avere una veloce risonanza e un rapido incremento, ma in caso di errori, problemi, o irregolarità, il declino è altrettanto rapido.

Approccio incrementale

Le regole che governano l’apertura di un’impresa di tipo digitale sono diverse da quelle “del mondo reale”. Anche se si pensa alla via più logica che passa per gli step di pianificazione, investimento, strategia di posizionamento ed entrata sul mercato, Marco Ravagnan, titolare della Lemonfour web agency ed esperto di marketing che si occupa da diverso tempo di start up digitali, la sconsiglia apertamente, almeno per gli imprenditori web in erba.

Il concetto deve essere legato ad un approccio adattivo e incrementale che permetta di avviare un modello “piccolo ma funzionale”, per essere subito online in modo da testare il concetto base. Successivamente è possibile apportare le modifiche e/o sviluppare le aree che producono maggior plauso da parte del pubblico e quindi generano traffico. Dalla sua esperienza Ravagnan suggerisce di dare un senso ai primi riscontri ottenuti dal pubblico soprattutto per le modifiche da apportare al modello di business, piuttosto che concentrarsi su informazioni di fruibilità e usabilità del prodotto o servizio, che su internet sono praticamente obbligate e sono molto semplici da implementare.

L’approccio è il medesimo seguito nell’era iniziale della new economy quando si diffusero i primi siti internet utilizzati come semplici vetrine commerciali. La prima versione semplice e poco grafica permetteva al generico utente una presa di confidenza con le funzionalità e gli elementi sostanziali del sito, e solo nelle versioni successive si assisteva all’introduzione di style sheet con una grafica più complessa e accattivante, fino alle animazioni flash e ovviamente all’evoluzione in sito di commercio elettronico. Lo stesso criterio pragmatico è stato seguito dalle piattaforme social come Facebook e Twitter, solo per citare i più famosi.

Perché farsi comprare

Marco Ravagnan fa notare che non è necessario avere un’idea originale per fare business: a volte copiare i principi di un business preesistente può diventare un vantaggio. Si tratta di saper trasformare un problema in un’opportunità cogliendo i risvolti vantaggiosi ed evitando di “pensare in modo convenzionale”.

Solitamente infatti, si è portati a pensare che solo un’idea semplice e brillante permetta la rapida adozione del pubblico e l’immediato successo. Nell’ambito dei prodotti questo è genericamente vero: senza arrivare all’invenzione della cerniera lampo, si pensi ad un simbolo (tipo una margherita stilizzata n.d.r.) da stampare su una maglietta per dare vita ad una linea di abbigliamento. Però nell’ambito dei servizi questa regola può essere stravolta.

Ravagnan, in base alla sua esperienza, fa notare che di frequente sul mercato c’è già chi ha realizzato la medesima idea di businesss e questo non deve costituire un freno. Anzi sovvertendo il pensiero comune, questa è proprio una delle strategie che vengono utilizzate maggiormente dalle startup la cui missione è duplicare fedelmente un servizio o un modello business già esistente con l’unica furbizia di avviarlo in un mercato dove il “titolare” storico ancora non è presente.

Prima o poi questo leader di mercato potrebbe essere interessato ad aprire in altri mercati delocalizzati rispetto al suo e potrebbe semplicemente acquisire quella start up. L’investimento conviene a entrambi, l’imprenditore della start up recupera il capitale investito e ovviamente guadagna dal plusvalore, mentre il leader di mercato si ritrova un’azienda già impostata con il suo stesso business, ben avviata e magari anche remunerativa, senza doversi accollare il cosiddetto rischio iniziale di aprire da zero.

Un esempio recente e rappresentativo è Citydeal, cha ha adottato la medesima linea di business di Groupon, famoso e diffuso negli USA, al solo scopo di farsi acquisire se e quando Groupon si fosse interessato del mercato europeo e la cosa è in effetti avvenuta.

L’altro obiettivo di chi avvia una start up digitale è “farsi comprare” ma restare sul mercato con il proprio brand e business non importa se di tipo originale o sfacciatamente copiato. In questi casi si punta al finanziamento da parte dei cosiddetti “incubatori d’impresa” che, assimilabili a fondi economici d’investimento, sovvenzionano al solo scopo, ovviamente, di guadagnare dal successo della start up. Un esempio: il sito Wufoo, che offre il servizio a pagamento di creazione moduli per il web, dopo cinque anni di attività è stato rivenduto a circa 300 volte il valore speso per la sua creazione e avviamento.