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Renzi: Mille Giorni partano da Riforma Lavoro

di Barbara Weisz

Pubblicato 17 Settembre 2014
Aggiornato 18 Settembre 2014 12:35

Urge un nuovo diritto del lavoro e se il Parlamento rallenta sulla delega in tema di licenziamenti e articolo 18 il Governo è pronto al decreto: l'informativa di Renzi alle Camere.

Rilancia sulle riforme il premier Matteo Renzi nel doppio intervento alle Camere per l’informativa sul programma dei Mille Giorni: è l’ultima chance per cambiare il Paese («se perdiamo non perde il Governo, perde l’Italia»). Le priorità per «ripartire e tornare a crescere»: occupazione, lavoro, istituzioni, legge elettorale, Giustizia, Fisco, Pubblica Amministrazione. Un discorso che alterna punti programmatici forti e messaggi squisitamente politici («non siamo partiti con l’obiettivo di tenere in piedi la legislatura, né siamo interessati a tenere in piedi una carriera o un’ambizione di un singolo parlamentare o di un singolo membro del Governo»). Il tutto, condito con uno stile comunicativo che non risparmia stoccate e “note di colore”: «rispetto al derby tra professionisti della tartina e Italia che si spezza la schiena, noi stiamo con questa seconda parte del Paese che è la parte che si sveglia la mattina presto, che va a lavorare».
Ma vediamo i programmi del Governo sui due temi fondamentali per le imprese: crescita e lavoro.

=> Governo Renzi: il programma dei Mille Giorni

Riforma del Lavoro

«Al termine dei Mille Giorni il diritto del lavoro non potrà essere quello di oggi»:

basta con un «diritto del lavoro che divide in cittadini di serie A e di serie B: tu sei una mamma di 30 anni, sei una dipendente pubblica o privata, hai la maternità; sei una partita IVA, non conti niente; tu sei un lavoratore, di un’azienda sotto i 15 dipendenti, non hai alcuna garanzia, sopra sì; tu sei uno che ha diritto alla cassa integrazione, ma dipende dall’entità, dall’importanza, dalle modalità della cassa integrazione ordinaria, di quella straordinaria, di quella in deroga».

 

Tutele uniche

E’ l’affondo sullo Statuto dei Lavoratori e sull’articolo 18. Due le affermazioni degne di rilievo: la prima riguarda i licenziamenti nella riforma dei contratti la seconda l’iter parlamentare della legge delega. Ci vogliono:

«regole chiare, che impediscano le diversità tra il tribunale del lavoro di Prato e il tribunale del lavoro di Arezzo. Guardate i numeri e capite che il tema del reintegro o non reintegro dipende dalla conformazione geografica e non dalla fattispecie giuridica».

=> Riforma Lavoro: gli emendamenti approvati al Jobs Act

La delega prevede l’introduzione di un nuovo contratto unico a tempo indeterminato con tutele crescenti, ma sul significato delle tutele si dividono le forze di maggioranza: niente articolo 18 per i primi tre anni di contratto e diritto al reintegro per gli anni successivi (Pd) o sostituzione del reintegro con indennità economica crescente con l’anzianità aziendale (altre forze di maggioranza). Renzi non entra nel merito ma fa un annuncio di metodo (e siamo al secondo punto rilevante):

«rispetto il dibattito parlamentare» ma anche le esigenze «degli imprenditori che vogliono investire o dei lavoratori che chiedono soluzioni e garanzie diverse». Se «saremo nelle condizioni di avere tempi certi e serrati, noi rispetteremo il lavoro del Parlamento e ci attrezzeremo per la delega, altrimenti siamo pronti anche a intervenire con misure di urgenza, perché sul tema del lavoro non possiamo perdere un secondo di più».

Possibile Decreto Lavoro

Traduzione: o in Parlamento i lavori procedono trovando una sintesi per l’approvazione di una riforma del lavoro soddisfacente o l’Esecutivo procederà per Decreto. In pratica, si ventila la possibilità di stralciare dalla delega i temi più controversi procedendo con un decreto.

Sul senso generale della riforma, il Governo continua invece a esprimersi in favore di misure di flexsecurity e di rilancio della competitività delle imprese. Nella Legge di Stabilità, spiega il premier, «avremo le risorse per ampliare la gamma degli ammortizzatori sociali, riducendone il numero e le dimensioni». L’obiettivo:

«un meccanismo semplice per tutti, per cui, se sei licenziato, hai la possibilità di essere accompagnato dallo Stato, hai la possibilità di fare corsi di formazione seri e hai il dovere, al primo, secondo o terzo tentativo di offerta che ti viene fatto, di accettare l’offerta di lavoro che ti viene fatta, secondo il principio tipico delle social-democrazie e delle liberal-democrazie europee».

Dopodiché, alla Riforma del Lavoro non si può chiedere di avere «poteri taumaturgici», per «recuperare posti di lavoro, occorre una politica industriale»: rilanciare la siderurgia, risolvere le crisi aziendali, utilizzare bene i fondi europei e anche i «200 miliardi che vengono liberati dalla Banca centrale europea, chiedendo alle banche italiane di fare la propria parte», quindi non investirli in titoli di stato ma «finanziare le piccole e medie imprese e le realtà che investono», puntare sull’eccellenza del Made in Italy per essere competitivi sui mercati internazionali.