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I costi nascosti del lavoro flessibile

di Noemi Ricci

22 Febbraio 2016 14:00

La maggior parte dei lavoratori flessibili lavora spesso con maggiore passione, ma anche più ore: il rovescio della medaglia dello smart working, anche dal punto di vista retributivo.

Il lavoro flessibile, la possibilità di lavorare da remoto, ovvero da casa, offre indubbi vantaggi sia la lavoratore e al datore di lavoro. Vantaggi che vengono spesso evidenziati, a partire dall possibilità di conciliare meglio i tempi di vita privata e professionale, soprattutto in questi ultimi tempi, quando anche il Governo ha tentato di regolamentare il smart working con un Ddl collegato alla Legge di Stabilità 2016.

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Come in ogni cosa però vanno considerati anche gli aspetti negativi del lavorare da casa una volta ogni tanto, ad esempio il fatto che spesso chi lavora da remoto finisce per lavorare per periodi più lunghi rispetto alle 8 ore canoniche e con ritmi più intensi, al di fuori delle distrazioni del luogo di lavoro e dei ritmi degli uffici relativi alle pausa (pranzo, caffè, sigaretta, etc.).

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La maggiore produttività degli smart workers è uno dei motivi per cui sempre più aziende stanno puntando sul lavoro flessibile, secondo diversi studi infatti solitamente tali lavoratori si dimostrano altrettanto, se non di più, diligenti dei lavoratori “classici”. Molti dipendenti che lavorano da remoto però, non essendo vincolati ai canonici orari d’ufficio, finiscono per lavorare ore in più durante il giorno e durante la settimana, spesso anche di notte o nei weekend. Questo avviene, nella maggioranza dei casi, per la volontà del lavoratore di dimostrare il proprio impegno e la passione per il proprio lavoro. I ricercatori hanno denominato tale fenomeno con il termine “stigma della flessibilità”.

Smart working 2

Secondo Joan C. Williams, direttore del Centro per il diritto WorkLife presso l’Università della California Hastings college of the Law, nelle professioni che richiedono un elevato livello di specializzazione lo stigma della flessibilità deriva da ciò che il sociologo chiama “norma della devozione al lavoro”, che porta a sentire il dovere di dover dimostrare che si è degni del proprio lavoro. Così questo diventa il fulcro centrale della propria vita e, nei casi in cui lavorano da remoto, tale devozione si traduce in un sovraccarico di lavoro in orari che Williams definisce “folli”.

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Tra i soggetti più esposti allo stigma ci sono certamente le donne con bambini, le quali hanno una maggiore probabilità di voler e poter sfruttare la flessibilità del datore di lavoro. È uno dei rovesci della medaglia della diffusione delle tecnologie, come sottolinea Williams:

«La tecnologia ora non pone limiti di lavoro. Quindi dobbiamo impostare questi confini di lavoro attraverso norme sociali».

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Nel corso degli ultimi due decenni, infatti, la diffusione di strumenti mobile, internet e tecnologie sempre più sofisticate hanno fatto sì che sempre meno persone abbiano bisogno di essere in ufficio per svolgere il proprio lavoro.

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Per dare qualche numero: tra il 1997 e il 2010, il numero di americani che lavorano da casa almeno un giorno alla settimana è aumentato di +4,2 milioni di unità, passando da 9,2 milioni a 13,4 milioni, per una crescita in termini percentuali, sul totale della forza lavoro, dal 7% al 9,4%. La maggior parte di questi lavoratori flessibili (9,4 milioni) sono persone che lavorano esclusivamente da casa, i rimanenti 4 milioni hanno un lavoro d’ufficio, ma hanno anche la possibilità di lavorare da casa occasionalmente.

I lavoratori misti possiedono nel 63,3% dei casi, un diploma di laurea o superiore, percentuale che scende al 50,5% tra coloro che lavorano esclusivamente da casa e al 29,7% tra i lavoratori che lavorano esclusivamente in sede. I cosiddetti “mixed wokers”, ovvero coloro che lavorano sia in sede che da casa, sono meglio retribuiti, con un guadagno medio di 52.800 dollari all’anno, rispetto ai 25.500 dollari di chi lavora esclusivamente da casa (home workers) ed i 30.000 dollari di coloro che lavorano in sede (onsite workers). I mixed workers sono anche quelli che lavorano più ore, in media 41,4 ore, contro le 37,4 delle altre due tipologie.

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