Job on call: non chiamiamolo lavoro dipendente

di Nicola Santangelo

Pubblicato 17 Settembre 2010
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:40

Che sia uno strumento in grado di far emergere il lavoro sommerso potremmo anche essere d'accordo ma asserire che il job on call ossia il cosiddetto lavoro a chiamata è stato introdotto con la riforma del mercato del lavoro allo scopo di fornire un'adeguata disciplina giuridica alle prestazioni di lavoro dipendente discontinue e intermittenti, questo no.

Dove sta la subordinazione che lega un dipendente al suo datore di lavoro di fronte alla precarietà , che dir si voglia discontinuità  o intermittenza?

Sarebbe meglio sostenere che il job on call è una forma tutta nuova (anche se in sostanza la riforma è del 2003) che mette le imprese nella condizione di ottenere manovalanza a basso costo esclusivamente all'occorrenza. Un concetto, ancorché distorto, che si ritiene possa essere più vicino alla libera professione piuttosto che al lavoro dipendente.

Ma cos'è il job on call? E' una tipologia contrattuale, solitamente rappresentata come l'emblema della flessibilità , con la quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che può richiedere la prestazione lavorativa anche in maniera discontinua. Viene, infatti, prevalentemente utilizzato per far fronte a eventuali picchi di lavoro che si presentano nell'attività  di impresa.

Alberghi e ristoranti, istruzione, sanità , servizi sociali e commercio. Sono queste le aree di maggiore applicazione dei lavoratori intermittenti. Un trend in continua crescita secondo i dati Istat.

I soggetti a cui viene solitamente proposto il job on call sono prevalentemente gli operai, nella maggior parte dei casi nel settore degli alberghi e ristoranti. Non darà  la stessa sicurezza di un lavoro a tempo indeterminato ma ciò che è inopinabile è che è uno strumento in grado di offrire vantaggiose opportunità  a studenti e lavoratori che scelgono di lavorare part-time.