PA vs Pmi: burocrazia, tassa fissa da 1.000 euro al mese per le imprese

di Davide Di Felice

Pubblicato 8 Luglio 2009
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:41

Uno studio condotto nel mese di giugno da Unioncamere evidenzia che la burocrazia costa 1.000 euro al mese alle imprese: 16,6 miliardi di euro l'onere pagato dal sistema produttivo per adempimenti burocratici nel 2008.

Al contempo, nell’ambito del consueto giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2008 Furio Pasqualucci, procuratore generale presso la Corte dei Conti, ha definito la corruzione all’interno dell’apparato pubblico come una vera e propria tassa: immorale ed occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini.

Oboli che ostacolano soprattutto al Sud investimenti da parte di imprese estere, e che “inquinano” i conti delle società  minandone la trasparenza nei confronti degli investitori.

Nota positiva: cresce l'utilizzo dell'informatica nel rapporto con la P.A., che porta se non altro a sensibili risparmi.

Il documento elaborato dal Centro Studi di Unioncamere sottolinea come il peso complessivo per il 2008 della farraginosa burocrazia italiana ammonti complessivamente, come dicevamo, a 16,6 miliardi di euro (l'1,1% del PIL), cioè 12.334 euro in media per ogni impresa, che fanno 1.000 euro al mese!

La rilevazione è stata effettuata su un campione di circa 1.150 imprese con almeno un addetto dipendente, estratte dal Registro imprese integrato con le altre fonti amministrative (INPS e INAIL) al 31.12.2006, e stratificato in base a 4 ripartizioni geografiche (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud ed Isole) e 2 settori di attività  economica (industria e servizi).

L'indagine prende in considerazione gli uffici periferici dell'Amministrazione finanziaria (IVA, Registro e Imposte dirette), uffici INPS e INAIL, le ASL, nonché gli uffici delle Amministrazioni Regionali, Provinciali, Comunali e delle Camere di commercio.

Malgrado i costi ancora troppo elevati la maggioranza delle imprese promuove la P.A., almeno sul piano della qualità  dei servizi erogati.

Il 50,1% delle imprese formula un giudizio abbastanza soddisfacente sui servizi resi dalla Pubblica amministrazione, mentre il 4,3% si ritiene molto soddisfatto.
All'opposto, il 32,2% esprime una valutazione poco soddisfacente e il 13,4% evidenzia la propria insoddisfazione.

Sul giudizio pesa la decisa spinta verso l'informatizzazione della Pubblica Amministrazione, che continua a coinvolgere un numero crescente di imprese in Italia.

Oltre l'85% delle imprese intervistate (era il 46,5% nel 2006) dichiara di utilizzare almeno qualche volta modalità  telematiche per l'espletamento degli adempimenti amministrativi; in particolare, sale al 44,3% (in forte crescita negli ultimi 2 anni, se si considera che era il 16,3% l'analogo dato dell'ultima rilevazione) la quota di imprenditori che ormai utilizza esclusivamente procedure informatiche per la trasmissione di atti amministrativi.
La quota di imprese che, invece, ha dichiarato di non aver fatto uso dell'informatizzazione per l'espletamento di adempimenti amministrativi si attesta al 14,3%, quota inferiore di ben 40 punti percentuali rispetto a due anni fa (53,5%).

Il 39,5% delle imprese che hanno dichiarato di utilizzare sempre o qualche volta modalità  telematiche nei rapporti con la P.A. (pari al 33,9% del totale delle imprese intervistate) sostiene di avere riscontrato una riduzione dei costi a proprio carico: il dato evidenzia una significativa crescita rispetto all'indagine di due anni fa (29,7%).

Insomma, un quadro tutto sommato incoraggiante e che fa ben sperare per il futuro … forse.

In questa indagine entra “a gamba tesa” la relazione del procuratore Pasqualucci, dalla quale emerge una situazione che sembra vanificare questi sforzi; almeno per il momento.
Il fenomeno della corruzione all'interno della P.A.è talmente rilevante e gravido di conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal SaeT (Servizio Anticorruzione e Trasparenza del Ministero della P.A. e dell'innovazione) nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all'anno.

Un costo per la collettività  che rischia di ostacolare (soprattutto in Italia meridionale) gli investimenti esteri, distruggere la fiducia nelle istituzioni e togliere la speranza nel futuro alle generazioni di giovani, cittadini e imprese.

Il ruolo sempre maggiore che vanno acquisendo i finanziamenti comunitari europei in numerosi settori della vita economica degli Stati membri ha spinto il legislatore italiano ad estendere le ipotesi di reato anche alla tutela degli organi della Unione Europee, ed indirettamente del patrimonio statale.

Particolarmente esposte a fenomeni corruttivi risultano essere le regioni del Lazio e della Lombardia, per l'elevato tasso di sviluppo economico-industriale e per la concentrazione di Enti e di strutture pubbliche.

Il Comando Generale della Guardia di Finanza evidenzia che i settori della P.A. maggiormente colpiti sono quelli della sanità , delle assunzioni del personale, della concessione di finanziamenti e quello degli appalti pubblici; ma non ne risultano certamente immuni, anche se in misura inferiore, i comparti dell'edilizia privata, università , consulenze e smaltimento dei rifiuti.

Le Fiamme Gialle delineano una evoluzione delle dazioni illecite mutuate da sistemi analoghi a quelli adottati per frodare il Fisco.

Le provviste di denaro vengono infatti costituite dai corruttori mediante l'utilizzo di sovra-fatturazioni di operazioni commerciali, fatturazioni di operazioni inesistenti, utilizzo di società  cartiere, ecc.; mentre i metodi impiegati per la rimessa della dazione al pubblico funzionario sono quelli della fatturazione di compensi per presunte consulenze, rimborso di spese elettorali, rimborso di presunte spese di viaggio e/o di rappresentanza oppure, dazioni indirette mediante terze persone.