Trasferte aziendali: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

di Roberto Grementieri

Pubblicato 4 Marzo 2009
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:42

La circolare n. 6/E del 3 marzo 2009 ha fornito alcuni importanti chiarimenti sulle modifiche – in materia di imposte sui redditi e di Iva – apportate al regime fiscale delle prestazioni alberghiere, oltre a quelle delle somministrazioni di alimenti: entrambi fattori di interesse per i dipendenti in trasferta che vogliono detrarre le spese di vitto e alloggio.

L’Iva detraibile, osserva l’Agenzia delle Entrate, non può costituire un costo ai fini della determinazione del reddito: di conseguenza, la rinuncia alla detrazione dell’imposta pagata sulle spese in questione non permette la deducibilità  della stessa dalle imposte sui redditi.

Nelle ipotesi in cui la prestazione alberghiera o di ristorazione sia fruita da un soggetto diverso dall’effettivo committente del servizio, ai fini della detrazione Iva è necessario che la fattura rechi anche l’intestazione di tale soggetto.

In altre parole,la fattura va intestata a chi opera la detrazione, mentre i dati di chi fruisce della prestazione possono essere indicati nella fattura o in un’apposita nota allegata alla stessa.

Il tetto del 75% non opera in relazione alle spese di vitto e alloggio sostenute dal datore di lavoro per le trasferte effettuate dai dipendenti e dai titolari dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa fuori dal territorio comunale.

Tenendo presente tale regola, l’Agenzia ha avuto modo di precisare che il limite non opera per le spese alberghiere e di ristorazione sostenute in trasferta extra-comunale da amministratori considerati collaboratori dell’impresa, mentre il limite opera per le spese alberghiere e di ristorazione sostenute in trasferta extra-comunale dai soci.

Sempre in materia di reddito di impresa, la norma che pone il limite del 75% alla deducibilità  delle spese per somministrazioni alimenti e bevande non si estende alle ipotesi in cui l’azienda sostiene costi per la gestione diretta di un servizio mensa.
In tal caso, non si è di fronte a una spesa per la somministrazione di alimenti e bevande, ma a costi sostenuti dal datore di lavoro per l’acquisto di beni, servizi ed eventualmente per la manodopera da utilizzare per la preparazione di pasti da somministrare.

Niente limite anche quando: la mensa è gestita da terzi; l’impresa stipula una convenzione con un esercizio pubblico per fornire il servizio di mensa ai propri dipendenti; il datore di lavoro acquista ticket restaurant.