Cellulari e connessioni "always on": vale veramente la pena?

di Giuseppe Goglio

Pubblicato 9 Ottobre 2007
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:44

Quando sono arrivati in Italia i primi esemplari, e sono passati ormai alcuni anni, il BlackBerry era stato liquidato senza tanti complimenti come una nuova “americanata”.

Questo ibrido tra un palmare e un microscopico notebook capace di accedere alla posta elettronica (ma poco altro) e dotato di tastiera QWERTY (ma minuscola) all'inizio aveva infatti raccolto ben pochi estimatori.

E anche il modello successivo, che aggiungeva le funzioni di telefonia, destava più perplessità  che favori per via della scarsa abitudine a utilizzare un PDA come telefono cellulare.

La situazione attuale, invece, è sotto gli occhi di tutti: i cellulari sempre più spesso sono diventati smartphone, in pratica qualcosa di molto più vicino a un notebook che non a un telefono mobile come lo immaginavamo pochi anni fa.

La connessione a Internet è una funzione ormai scontata, e sembrano sempre di più gli utenti disposti a rinunciare alla praticità  d'uso di un notebook a favore della comodità  di trasporto dei uno smartphone.

Le potenzialità  del mercato sono confermate dall'interesse manifestato da aziende di diverso tipo, sia produttori di notebook, sia di telefoni cellulari sia di elettronica in genere.

Osservando tutte queste persone che in ogni momento della giornata non riescono a fare a meno di controllare la casella di posta elettronica, viene da chiedersi però quanto in realtà  questi dispositivi siano convenienti dal punto di vista delle aziende: vale a dire, se i costi supportati per rendere una parte dei dipendenti “always on” siano compensati dai risultati ottenuti in termini di produttività .

Per non parlare poi dell'effettiva utilità  di decisioni prese a bordo di un taxi o di un autobus piuttosto che davanti a un caffè o in una sala di aspetto, spesso senza aver modo di consultare la necessaria documentazione o solamente per ingannare il tempo…