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Dopo il voto, le sfide di Renzi in Italia e in Europa

di Barbara Weisz

Pubblicato 4 Giugno 2014
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:38

Gli imprenditori delle PMI e il popolo delle partite Iva, oltre al tradizionale zoccolo duro del Pd, formato da lavoratori dipendenti e pensionati: è stata questa, secondo molti autorevoli commmentatori, l’arma segreta del Pd di Matteo Renzi alle elezioni europee. L’aver allargato la base elettorale storica della sinistra a categorie sociali che, invece, di solito esprimono un voto anche molto diverso: per intenderci, l’aver pescato anche fra gli ex elettori del Pdl e della Lega (che pure ha tenuto). Vero e no che sia, è indubbio che il superamento di tradizionali barriere ideologiche, avvenuto da tempo nella società civile (e ben rappresentato dai nuovi “movimenti” come quello di Grillo), forse per la prima volta in Italia è entrato anche nelle urne: attenzione, non nella campagna elettorale probabilmente, che quanto a toni e modi è ancora del tutto degna di Peppone e don Camillo. Anzi, altre analisi sottolineano come proprio l’essersi sottratto a un’eccessiva dose di aggressività in campagna elettorale abbia ulteriormente premiato Renzi.

Quale che sia stata la ricetta vincente, sono tutti d’accordo (anche lo stesso premier) nel tradurre in linee programmatiche questo voto: «non c’è più spazio per rinviare le riforme» ha dichiarato Renzi, per poi citare esplicitamente le riforme istituzionali e quelle su lavoro, pubblica amministrazione, fisco. E’ un voto per la continuità e le riforme, hanno detto e scritto gli osservatori, italiani e stranieri. Per non parlare della reazione più “pesante”, quella dei mercati, che il giorno dopo il voto (lunedì 26 maggio) hanno visto Piazza Affari balzare ben oltre le altre borse europee e lo spread tornare a scendere.

Quindi, ora cosa succede? E soprattutto, verrano premiate o deluse le aspettative depositate nell’urna da famiglie, lavoratori, imprese? Renzi ha promesso un nuovo cronoprogramma nel giro di una decina di giorni, dunque entro la fine della prima settimana di giugno. Evidentemente, sarà quella la sede per sapere esattamente come procederanno le riforme sul lavoro, sul fisco, sulla PA. Perché sono questi i terreni su cui il governo è atteso. Qualche promessa è già stata fatta: il bonus in busta paga deve diventare strutturale dal 2015 ed essere esteso anche ai pensionati. Questo l’impegno del governo, al quale si potrebbero aggiungere le richieste a più riprese formulate dalle associazioni imprenditoriali: sconto fiscale anche per le partite IVA (leggi qui). Avanti sulla strada della riduzione Irap, già tagliata del 10%. Un fisco più leggero, soprattutto per chi lavora e produce, ma anche più semplice, con le dichiarazioni precompilate. Una pubblica amministrazione che paghi puntualmente e che recuperi (possibilmente molti) punti in efficienza.

Il capitolo riforme istituzionali è più politico, interessa meno direttamente le tasche dei contribuenti, pur essendo tradizionalmente seguito con interesse dal mondo delle imprese (anche perché, diciamolo, un sistema ingessato e autoreferenziale produce crisi per tutti). Il superamento del bicameraliasmo renderà l’Italia più simile alle altre democrazie parlamentari del mondo e anche più governabile, e produrrà risparmi (così come altre operazioni di spending review istituzionale, come l’abolizione delle province). E la nuova legge elettorale dovrebbe a sua volta da una parte restituire agli elettori la possibilità di scegliere i candidati, togliendo potere alle segreterie dei partiti, dall’altra offrire una reale possibilità di governo a chi le elezioni le vince.

Ma non dimentichiamo un dato fondamentale: pur con tutte le considerazioni (sacrosante) sui riflessi di politica interna, queste sono state elezioni europee. E Renzi non riceve solo un rafforzato mandato a riformare l’Italia, ma un’investutura senza precedenti a livello europeo, per di più alla vigilia del semestre italiano di presidenza. Come molti hanno già detto e scritto, è insieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel (da poco rieletta in Germania e che ha tenuto anche alle europee), l’unico capo di governo con una forte risposta elettorale: i partiti di governo in Francia e Gran Bretagna hanno subito una mezza (anzi intera) debacle, i popolari e i socialisti spagnoli hanno retto meglio ma comunque perdono terreno anche a favore degli “indignati” di Podemos, movimento nato da pochi mesi, in Grecia (come previsto) la sinistra di Tsipras è il primo partito. E poi, c’è il dato più preoccupante, la forte affermazione di movimenti di estrema destra in Francia, Olanda, Danimarca e di altre forze dichiaratamente anti-europeiste in Gran Bretagna. La protesta anti euro non manca nemmeno in Italia, rappresentata dal M5S di Beppe Grillo, dove però (è bene sottolinearlo) non assume altri connotati politicamente estremi. Ma anche Grillo stavolta ha perso la “sfida” con il Pd, che lo ha doppiato alle urne. Tutto questo, Renzi se lo giocherà in Europa, l’ha già dichiarato: «chiediamo di cambiare l’Europa. Le prossime ore renderanno molto chiaro che cosa pensa l’italia su questo». In realtà, qualche anticipazione l’ha già fornita: l’Italia ha l’ambizione di «cambiare un’idea di Europa che in questi anni non ha funzionato, ha fallito». Quell’idea, si chiama austerity: forse, anche su questo fronte è la volta buona?