Cosa è necessario conoscere dei font

di Elsa Ricciotti

Pubblicato 2 Aprile 2010
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:41

Quante volte ci è successo di non saper scegliere la forma del carattere da applicare a un lavoro svolto? E, magari, abbiamo fatto diversi tentativi stampando il nostro elaborato e confrontando i vari tipi di font a nostra disposizione, per scegliere il più adatto, senza riuscire a decidere?

Ebbene, ci sono alcune caratteristiche, sui caratteri che utilizziamo, che è bene conoscere per riuscire ad adottare lo stile migliore, con competente consapevolezza.

I font vengono raggruppati in “famiglie”: una prima suddivisione riguarda i caratteri sans serif (senza grazie) e i caratteri serif (con grazie), dove le “grazie” stanno a indicare gli abbellimenti, i riccioli o gli orpelli, posti, prevalentemente, nei punti di appoggio (piedi).

Times New Roman, Book Antiqua, Bookman Old Style sono un esempio di carattere “Serif”; mentre Arial, Verdana, Tahoma e Comic sans Ms, invece, sono esempi di caratteri senza grazie, i cosiddetti caratteri “a bastone”.

Vi è una lunga e dibattuta disputa sull’uso migliore degli uni o degli altri: alcuni sostengono che i caratteri a bastone siano più adatti al video, mentre quelli con le grazie, invece, più da utilizzarsi sulla carta stampata; ma quello che bisogna considerare è l’effetto di leggibilità complessiva del documento, che non è fatto solo della forma del carattere, ma anche di un uso consapevole di spaziature e simmetrie, che aiutano il lettore nel suo percorso di interpretazione del testo.

Vi sono poi alcuni caratteri di tipo Monospace: esempi di ciò sono il Courier e il Courier New, le cui lettere hanno tutte la stessa larghezza, sulla riga. Nel testo normale, invece, i caratteri come la “I”, che è sottile, occupano meno spazio di altri, come la “m”, che è larga.

I caratteri monospace si usano quando è necessario rispettare le regole di redazione di una cartella editoriale: in una traduzione, ad esempio, in una tesi di laurea o in un concorso letterario, si è soliti misurare in caratteri la quantità di testo posta sul foglio (sessanta battute per venticinque righe).

Possiamo, quindi, descrivere i caratteri informali o Script , che hanno la caratteristica di imitare la scrittura umana, in corsivo. Esempi di questo tipo possono essere il Vivaldi o il French Script. Il loro campo di applicazione si presta a composizioni particolari: partecipazioni di nozze, battesimi, rinfreschi con menù particolari, ecc.

E, ancora, non dobbiamo dimenticare gli alfabeti tematici, o caratteri fantasy, arricchiti di un simbolo a tema: natalizio; pasquale, floreale, sportivo e via discorrendo. Si usano per realizzare scritte a effetto, da utilizzare come titolo, della lunghezza di qualche parola: “buone feste” su un biglietto d’auguri, ad esempio.

Infine ci sono i caratteri Dingbats, che non contengono testo vero e proprio, ma simboli e, pur essendo font, non possono essere utilizzati per scrivere, ma solo per inserire simboli nel foglio.

Non esistono leggi inderogabili sull’uso dei font; tuttavia esistono delle regole di buon senso, che possono facilmente essere applicate: non dovrebbero essere usati insieme, in uno stesso documento, caratteri con e senza grazie; non dovrebbero essere utilizzati, per ragioni di unità stilistica, più di due o tre caratteri diversi. Infine, non si dovrebbe abusare di caratteri tematici, se non per testi brevissimi.

Abusate, piuttosto, dell’anteprima di stampa e del correttore ortografico, che ci permettono di individuare a colpo d’occhio i principali difetti dei nostri lavori, così da ottenere sempre ottimi risultati.