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SISTRI, pro e contro del sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali

di Anna Fabi

Pubblicato 17 Aprile 2013
Aggiornato 19 Aprile 2013 12:43

Pergolizzi (Legambiente): “Bene per un maggior controllo degli scarti, ma non risolve il problema dell’illegalità in questo settore. Attenzione soprattutto alle PMI”.

Mancano poco meno di sette mesi all’entrata in vigore del SISTRI, il sistema di controllo digitale della tracciabilità dei rifiuti.

Nato nel 2009 per volontà del Ministero dell’Ambiente e rinviato per ben due volte negli ultimi anni per le proteste delle centinaia di migliaia di industrie coinvolte, permette l’informatizzazione dell’intera filiera degli scarti speciali prodotti a livello nazionale.

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Così, dal 1 ottobre 2013 potranno utilizzare l’impianto in questione tutte le aziende produttrici di questo tipo di rifiuti con più di 10 dipendenti e gli enti e le imprese che li gestiscono. Per tutte le altre il termine è fissato per il 4 marzo 2014.
A regime i soggetti coinvolti saranno circa 400mila. Per tutte quelli che trattano rifiuti non pericolosi potranno ugualmente usare il SISTRI su base volontaria sempre a partire dal 1 ottobre prossimo.

Oltre a semplificare le procedure e gli adempimenti riducendo i costi delle imprese, il sistema in questione dovrebbe gestire, nelle intenzioni del Ministero,  in maniera innovativa, efficace e trasparente un processo complesso e spesso alle prese con problemi di illegalità e non conformità alla normativa vigente. Per questo la sua gestione è affidata al Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente. In poche parole, si riuscirebbe a monitorare in questo modo il movimento dei rifiuti speciali dal loro trasporto fino ai siti di smaltimento.

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Intanto, imprenditori e associazioni ambientaliste si chiedono quanto il provvedimento possa essere utile soprattutto per sconfiggere il fenomeno dello smaltimento illegale dei rifiuti.

“Il SISTRI potrebbe essere una buona occasione di razionalizzazione del monitoraggio degli scarti speciali – ha dichiarato ad Ambiente Magazine Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente. Ma questo si vedrà soltanto col tempo. Il sistema attuale, cioè quello cartaceo del MUD, non funziona. Secondo dati dell’Ispra, il 90% delle aziende non lo utilizza”.

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Ma non è tutto oro quel che luccica. “Non crediamo però che questa sia la soluzione migliore per contrastare il fenomeno dell’illegalità in questo settore – ha continuato Pergolizzi. Anche se sostituisce il cartaceo, il sistema satellitare non risolve comunque il problema, dato che gli escamotage possibili per aggirarlo sono vari. C’è l’idea che la tecnologia possa essere una sorta di panacea, ma mancano effettivi controlli e il traffico rischia così di essere parcellizzato.
Quello che servirebbe sono delle politiche per incentivare aziende e privati al riciclo dei rifiuti. Più infatti è virtuoso il sistema, meno è probabile la penetrazione della criminalità organizzata”.

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Secondo dati ufficiali, facendo una stima tra i rifiuti prodotti e quelli gestiti, di media c’è  un ammanco di 30 milioni di tonnellate, una cifra enorme, in grado di riempire ben tre campi di calcio. Mentre sono 2 i milioni di tonnellate, secondo l’associazione Cigno verde, sequestrate negli ultimi due anni.

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“Il fenomeno colpisce soprattutto le PMI – ha concluso Pergolizzi. Si tratta infatti di soggetti più esposti perché prima di tutto non hanno l’obbligo attualmente della certificazione tramite Mud, e poi perché spesso non riescono a sostenere, soprattutto in questo periodo di crisi economica, i costi relativi allo smaltimento dei rifiuti”.