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TFR e previdenza complementare: conviene l’accantonamento in azienda

di Noemi Ricci

Pubblicato 10 Gennaio 2011
Aggiornato 6 Gennaio 2012 10:48

Pensioni in Italia senza garanzie e lavoratori scettici sulla previdenza complementare: i risultati per ora premiano i dipendenti che hanno lasciato il TFR in azienda.

La pensione? Un miraggio per i giovani lavoratori italiani. Secondo gli ultimi dati Inps i dipendenti di oggi, quando raggiungeranno i requisiti per andare in pensione, percepiranno meno del 45% dell’ultimo stipendio.

Nonostante ciò, in pochi si affidano alla previdenza complementare per compensare questa grave carenza del nostro Paese, stando alla Cgia di Mestre: solo il 25% deigli occupati (autonomi e dipendenti nel privato) è iscritto a un fondo pensione.

Dal punto di vista quantitativo si tratta di circa cinque milioni di occupati (23,4% del totale) su una massa critica di oltre 21,5 milioni. Gli altri 16,5 milioni di lavoratori (76,6% del totale) hanno invece scelto di mantenere il TFR (trattamento di fine rapporto) in azienda, per poi magari investirlo più in là o riversarlo nei fondi pensione.

Una scelta finora vincente, visto che in questi ultimi due anni di crisi hanno ottenuto un rendimento del +4,7%, contro il +1,7% degli iscritti a un fondo negoziale (scelti da due milioni di lavoratori) e segno meno di chi ha investito il proprio TFR nei fondi pensione aperti (su cui hanno investito 820 mila occupati).

Bisognerà però attendere i risultati di medio e lungo periodo prima di poter affermare con certezza quale sia la scelta migliore sulla quale puntare per un futuro più sereno.

Ricordiamo che il TFR annuo dai lavoratori dipendenti italiani è in totale pari a oltre 20 miliardi di euro. Di questi, nel 2009, 5,1 miliardi sono stati destinati alle forme pensionistiche complementari, 5,9 miliardi al Fondo di tesoreria presso l ‘ Inps e 12,7 miliardi di euro alle imprese.

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