Perdite su crediti: deduzione in bilancio

di Roberto Grementieri

4 Febbraio 2011 09:00

Come dedurre le perdite sui crediti dal bilancio dell'impresa: focus sulle perdite per inesigibilità e sui debitori assoggettati o meno a procedure concorsuali.

In tempo di crisi, una delle poste del bilancio più critiche è quella dei crediti, per implicazioni di natura economica, patrimoniale, finanziaria e fiscale. In particolare, la stima di perdite sui crediti:

  • riduce il risultato economico dell’esercizio per pari importo oppure, se quest’ultimo è negativo, incrementa la perdita relativa.
  • ha effetto sul risultato d’esercizio, che incide sul valore del patrimonio netto e quindi sul capitale dell’impresa;
  • incide sulla previsione dei flussi di cassa futuri e quindi anche sulla valutazione della capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni.
  • richiede attenzione particolare a tutta la normativa fiscale di riferimento.

L’art. 2426, comma 1, punto 8) c.c. stabilisce che i redditi devono essere iscritti “in bilancio secondo il valore presumibile di realizzo“.

In altri termini, noto e certo il valore nominale di un credito, questo deve essere iscritto in bilancio tenuto conto di perdite per inesigibilità, resi e rettifiche di fatturazione, sconti e abbuoni, interessi non maturati, altre cause di minor realizzo conosciute.

Perdite per inesigibilità

È il caso più diffuso. Il valore nominale dei crediti deve essere diminuito tramite adozione del fondo di svalutazione ,appositamente stanziato per le perdite per inesigibilità che possono ragionevolmente essere previste e che sono inerenti ai saldi dei crediti esposti in bilancio.

Il fondo deve essere sufficiente per coprire le perdite per situazioni di inesigibilità già manifestatesi o non ancora manifestatesi ma temute. Si deve analizzare ogni singolo credito per apportare al bilancio un fondo di svalutazione che tenga conto del suo valore presumibile di realizzazione.

Pertanto, è irrilevante che la perdita sul credito in questione si sia effettivamente realizzata entro la data di approvazione del bilancio o che tale data sia soltanto presunta o stimata: ciò per il rispetto del principio della prudenza di cui al richiamato art. 2423-bis c.c.: «si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio e si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura dell’esercizio».

Quando la perdita stimata si verifica, il fondo svalutazione crediti storna il credito cui si riferisce. Se la perdita reale dovesse risultare superiore a quella stimata, si imputerà all’esercizio l’ulteriore perdita realizzata.

Secondo il principio contabile n. 15 dell’Organismo italiano di contabilità, le perdite su crediti possono essere stimate tramite un procedimento sintetico, applicando determinate formule come ad esempio una percentuale delle vendite del periodo o dei crediti.

Debitore con procedure concorsuali

Secondo l’art. 101, comma 5, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, ossia nei seguenti casi (art. 101, comma 5): dalla data delle sentenza dichiarativa del fallimento; dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; dalla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; dalla data del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

In questi casi non vi è necessità di ulteriori prove. Lo stesso automatismo riguarda le procedure estere, se il debitore è assoggettato a procedura assimilabile a quelle sopra indicate. L’Associazione italiana dottori commercialisti stabilisce tuttavia che tale disposizione introduce solo una presunzione semplice riguardo alla certezza della perdita, ma la sua entità deve essere valutata caso per caso e quantificata dall’imprenditore considerando il presumibile valore di realizzo del credito.

Quantificazione perdita

La sentenza del 29 ottobre 2010, n. 22135 della Corte di Cassazione afferma che il periodo d’imposta di competenza per la deducibilità deve coincidere con quello in cui si acquista la certezza che il credito non può essere più soddisfatto. Se ciò non fosse, si derogherebbe al principio di competenza che, secondo i Giudici di legittimità, rappresenta un aspetto inderogabile nella determinazione del reddito d’impresa.

Pertanto, secondo i Giudici di Piazza Cavour la presunzione di sussistenza di elementi certi sull’irrecuperabilità del credito non si può ritenere esistente in maniera arbitraria e per tutta la durata della procedura concorsuale.

In caso contrario, ci si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta in cui gli sarebbe più vantaggioso operare la deduzione, snaturando la regola del principio di competenza!

La prova di irrecuperabilità non impone di dimostrare che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né che si sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore.

Pertanto, il periodo di competenza è quello in cui c’è la certezza che il credito non potrà più essere soddisfatto, o nel caso della declaratoria di fallimento o della chiusura delle ditte debitrici.

Il citato art. 101 rinvia l’effettiva determinazione quantitativa e temporale della perdita ad un’analisi da effettuare nei singoli casi, sulla base degli elementi a disposizione degli amministratori.

La deducibilità della perdita dovrebbe ritenersi quindi ammissibile sia nell’esercizio di apertura della procedura che per tutta la durata della stessa, tenendo conto degli sviluppi della procedura stessa.